TOGANO

TOGANO

Sfreccio veloce sull’autostrada con la mia macchina. Sono solo come spesso mi capita. E’ ancora buio, ma meglio cosi; in questi giorni fa un caldo insopportabile, quindi meglio sfruttare le primissime ore del mattino. Il mio obbiettivo è il maestoso Togano, che con i suoi 2301 metri è la cima più alta della Val Grande. Per di più si trova in una zona da me ancora inesplorata.

E’ tanto che volevo tentare questa nuova avventura. Il tracciato che ho scelto parte da Dalovio, poi alpe Bogo, A.Muschia, Fornale, Passo Biordo ed infine il Togano. Con la macchina arrivo alla stazione di Coimo, poi una strada in cemento ripidissima, mi porta ad un alpeggio che identifico come alpe Bogo, che invece in seguito  scopro che è Dalovio. Sistemo l’altimetro riprendendo la quota di A.Bogo.

Oltre che la cartina CSN, ho anche la relazione della salita, fotocopiata da un libro. Non posso sbagliare! O almeno credevo.

Parto tranquillo, seguendo l’unico sentiero che c’è e che tra l’altro rispecchia fedelmente la relazione. Attrezzatura leggera: marsupio col mangiare, macchina fotografica e due litri tra acqua  e Gatorade. In alto potrebbe non esserci acqua.

Il sentiero dopo una breve salita, spiana, addentrandosi in un bosco misto faggi e frassini. Un capriolo scappa con il rumore dei miei passi. Sulla mia destra si stacca una gippabile. Non ci sono cartelli, ne segnali e oltretutto non figura nemmeno sulla cartina. Lo ignoro. Male!

Il mio cammino prosegue sul sentiero principale che a poco a poco inizia a salire avvicinandosi sempre più al rio che gorgheggia sulla mia sinistra. Il bel sentiero  in mezzo al bosco pulito che ho intrapreso  all’inizio  pian piano diventa infestato di ortiche, lamponi e altre erbacce che mi arrivano fino alle spalle. La cosa non mi piace molto e un po’ mi insospettisce, perché dovrebbe essere ben tracciato in quanto arriva al passo Biordo, che è una famosa porta d’accesso per la Val Grande.

Ma oggi sono felice e la mia fame di verde mi spinge sempre di più dentro questa valle.

Ormai cammino da un’ora e mezza e il sentiero  che è una vera giungla, sparisce del tutto lasciandomi perplesso e dubbioso, anche perché pensavo di raggiungere Muschia in poco tempo dalla partenza della macchina. Qui c’è qualcosa che non va.

Controllo la cartina con attenzione e scopro come temevo che ho cannato completamente. Come uno stupido senza esperienza, mi sono infilato nella valle di sinistra, quando invece dovevo salire sulla costa che mi sovrasta sulla mia destra. Che pirla che sono. Uno scherzetto del genere potrebbe far saltare il mio obbiettivo finale. Da casa avevo preventivato  cinque ore per salire sul Togano e tre per scendere, se incomincio a buttare via due o tre ore perché mi perdo, la cosa si allontana notevolmente.

E ora che faccio? Non voglio tornare indietro sconfitto e amareggiato. Non oggi!

Decido di tentare il tutto per tutto ed andare avanti per questa angusta valle che mi sta sempre più stretta. Il mio cammino si fa faticoso e lo stesso il mio animo. Guardo in alto e fra le punte degli alberi, in lontananza vedo la cima del Togano. Mamma mia quanto è lontano! Non ci arriverò mai.

Mi faccio forza e più con la rabbia che  con il coraggio, risalgo il letto del ruscello che seguo fedelmente. Vedo lontano in cima ad un costone, lo scheletro di un larice. Sembra che mi stia aspettando, come un gendarme sulla porta. Lo prendo come obbiettivo e mi getto fra erbacce e balze rocciose verso di lui. Ci metto un bel venti minuti, poi finalmente appoggio la mia schiena fradicia sul suo tronco secco. Faccio ancora un paio di salti e mi ritrovo su un pulpito roccioso da cui si apre un po’ la vista sulla valle avanti a me. Ora vedo tutto il Togano e gran parte della valle sottostante. Mi rendo conto di trovarmi ancora molto in basso rispetto a Fornale; oltretutto avanti di qua non riesco a procedere a causa di salti di roccia non indifferenti. Sulla mia destra, più avanti, intravedo  una frana ripidissima che risale il costone. Decido di risalirla , nella speranza che mi porti fuori da questa situazione ormai senza soluzione. Avanzo su questa pietraia, scala naturale, prestando molta attenzione dove metto piedi e mani; questo è l’habitat naturale per le vipere! Purtroppo finisce presto; mi guardo in giro. Un po’ a sinistra mi sembra di vedere una faggeta. È la mia via di fuga. Io amo i faggi, sono cosi puliti, freschi e ti infondono una tranquillità senza confini. Mi ritrovo quindi a risalire questo ripidissimo bosco, attaccandomi ora ai rami, ora ai tronchi. Dopo dieci minuti affannosi sbuco incredulo su un sentiero. Eh si, è proprio un sentiero, ben tracciato. Sono salvo! Controllo la cartina e finalmente capisco di essere sul sentiero che da Muschia porta a Fornale; il mio sentiero. Ora si, ora posso farcela! Le mie gambe, ora sicure , volano veloci attraversando gli ultimi brandelli di bosco. Sbuco finalmente sui prati; il panorama  si apre. Mi giro e guardo con perplessità la valle dove mi ero perso. Incredibile quel che ho fatto! Mi sembra di essere tornato indietro nel tempo di una ventina di anni, quando entravo per le prime volte in Valle e mi perdevo spesso; stesse situazioni, stesso animo, stesse gratificazioni.

Sotto di me, molto lontano, come fosse uno stuzzicadenti, il vecchio larice che mi aveva dato speranza quando più non ne avevo, è li che mi guarda ritto, come volesse salutarmi.

Il sentiero si addentra in un bosco di ontanelli, poi si getta nei prati disseminati di fiori spettacolari. Mi fermo a fotografarne un po’; sono bellissimi. Finalmente raggiungo Fornale, un bellissimo alpeggio incastonato come una pietra preziosa fra cime rocciose. Salgo su un grosso masso e  mi riposo un quarto d’ora. Mangio un bel panino e bevo abbondantemente, devo ricostituire le forze che ho perso nella “valle dei dannati”.

Da qui si vede benissimo il sentiero che sale a stretti zig zag in un ripido canalone che porta al Passo di Biordo. Prima di partire riempo le borracce alla sorgente del ruscello che mi ha accompagnato fin quà. Probabilmente sopra di acqua non ne vedrò più. Riparto ora con più calma e dopo poco mi trovo sul al passo.

Il panorama mi toglie il fiato. Da qui si domina l’alta Val Grande e tutti i suoi alpeggi, posti che ho visto solo sulle foto o con il binocolo da molto lontano.

Sotto di me, bel lontano, Alpe Biordo con i suoi molti scheletri avvolti da altissime piante di rabarbaro selvatico. Da un po’ di tristezza, se si pensa alla vita pulsante di molti anni fa; vita di fatiche e di rinunce, ma anche una vita pulita in armonia completa con la natura selvaggia di questi posti.

Passo Biordo è un piccolo avvallamento affilato come un rasoio, sospeso fra due mondi: davanti la solitaria e paurosamente silenziosa Val Grande e dietro la Val d’Ossola piena di caotica vita.

Sulla mia sinistra il Pizzo Nona e poco più in la il Ragno; mi ricordo una bella gita in compagnia dei miei amici più cari. Sulla mia destra invece la cima del Togano. È li, sembra talmente vicina da poterla toccare con una mano, ma in realtà è ancora molto lontano. Mi riposo un attimo prima dell’attacco finale. Poi mi faccio coraggio e parto. In effetti è proprio del coraggio  che ho bisogno; il sentiero  corre sul filo  della cresta rocciosa. Sulla mia destra un salto in verticale di trecento metri, da capogiro e sulla mia sinistra la situazione non è meglio. Un prato talmente ripido, che se cadi ti fermi almeno duecento metri sotto, dopo vari salti di rocce. Insomma qua non c’è da scherzare; non si sbaglia o è la fine. Non mi vergogno a dire che all’inizio mi gira la testa e non mi trovo certo a mio agio, ma poi piano piano, prendo confidenza e il mio andare si fa più sicuro. L’anticima la raggiungo dopo quaranta minuti di acrobazie. Sulla sua cima (2298) c’è un ripetitore radio della Finanza. Sono  sfinito. La vera cima è ancora molto più là, non so se me la sento di arrivare fin là. Le mie forze sono esaurite e devo anche tornare alla macchina, mica uno scherzetto da niente. Quasi quasi mi accontento cosi e torno indietro, ma poi so già che me ne pentirò di non aver afferrato l’occasione di salire la cima più alta della Val Grande e  chissà quando ci ritorno. No, non voglio; oggi è un giorno speciale, non mollo! Dopo tutto quello che ho passato, non posso mollare.

Un bel respiro e riparto per la vera cima che è collegata al punto in cui mi trovo grazie ad una lama rocciosa che tocca le nuvole.

Ad un certo punto mi trovo avanti a me un passaggio non indifferente; devo arrampicarmi su una paretina alta un tre metri. Non posso sbagliare, sui lati il vuoto assoluto. Gli anni di arrampicata mi aiutano e salgo con tranquillità. Sono quasi in cima alla parete; metto una mano sopra la sua sommità, poi l’altra e mi tiro su. Un sussulto! Davanti a me, a circa venti centimetri dalla faccia ed esattamente fra le mie mani una vipera spaventata quanto me, si tira indietro in posizione di difesa. Mollo subito la presa con la mia mano destra, quella più vicina alla vipera, ma mi sbilancio verso il vuoto.  Riprendo equilibrio e valuto la situazione: devo stare calmo, lei sembra fare altrettanto. Ci guardiamo. Forse è il primo umano che vede! Chissà cosa gli passa per la mente. Visto che ormai son qui gli faccio una foto! Sempre nella stessa posizione, sfilo dalla cintura la macchina fotografica e scatto un paio di foto. Dopo averla riposta, sempre attaccato alla parete, mi sposto di un metro verso sinistra. Sotto di me, spazio infinito. Un ultimo sforzo e la paretina è fatta lasciandomi dietro anche la viperella.  Ancora dieci minuti e finalmente la cima del Togano. Duemilatrecentouno metri. Ora sono felice, ora mi sento appagato. Un bel regalo per il mio quarantunesimo compleanno. Da qui la vista spazia a 360°. Non so più dove guardare tante sono le cose! Riconosco tutte le cime, gli alpeggi, i rifugi. Ogni posto mi fa tornare a mente avventure passate, altre gioie, altri dolori. Tutto è bello, magnifico, maestoso. Mentre son li seduto su questa piccola terrazza sospesa nel cielo, un aquila mi passa a una ventina di metri, poco sotto di me. Con la sua eleganza regale si porta ,in meno di un minuto, senza battere minimamente le ali, due montagne più in là. Che regalo Signore, io ti amo!

Resto ancora un po’ sulla cima, non vorrei mai scendere, ma mi rendo conto che la strada del ritorno è veramente lunga. Con un po’ di malinconia ritorno sui miei passi. Per fortuna la vipera è sparita, meglio cosi. Mi ritrovo presto al Passo Biordo. Un ultimo sguardo a questo mondo perduto, poi mi giro e mi rituffo giù verso Fornale. Tutto bene fino a Muschia, poi mi perdo nuovamente, ma per fortuna trovo un vecchietto del posto che era in giro a funghi che mi rimette sulla retta via. Dietro una curva, appare la mia auto. Sono distrutto. Dieci ore di cammino, di cui sette di salita. Mica uno scherzetto! Proprio di fianco alla macchina una fontana con abbeveratoio. Non faccio una grinza. Mi spoglio completamente e mi ci tuffo sotto. Rinasco. Salto sulla macchina e mi porto al primo bar che trovo. All’ombra di un grosso platano e con una birra in mano, non posso che sentirmi felice, appagato, vincitore.